Pellegrinaggio
da "La Gazzetta
Del Mezzogiorno" del 7/10/1963
Da noi i pellegrinaggi si fanno tra maggio e
ottobre e con maggior frequenza nei mesi di agosto e settembre, durante i quali
i lavori dei campi lasciano respiro ai contadini. Alle feste religiose come alle
guerre, perché richiedono cerimonie all'aperto e partecipazione di masse di
popolo e di combattenti, l'inverno impone una sosta. Una volta si andava a piedi
ai pellegrinaggi: partivano a comitive con gli asini e i muli per i malati e per
le donne che si stancavano durante il viaggio, e camminavano giorni e giorni;
parevano migrazioni di popoli primitivi in cerca di terre feconde e di pascoli
intatti. Ora con i mezzi di trasporto moderni è diminuita la fatica dei
pellegrinaggi, non tanto però, almeno per alcuni con aspri percorsi di
montagna, da invogliare le persone comode ad affrontare i disagi.
Il Santuario di Polsi in Aspromonte è il più
famoso da noi. Io conservavo fin dall'infanzia un ricordo di pellegrini che
partivano come verso un'avventura, allegri e baldanzosi, fra canti e suoni,
lancio di razzi e scoppi di mortaretti e tornavano polverosi e sfiniti di
stanchezza; e un desiderio insoddisfatto di vedere le cose meravigliose, di cui
avevo sentito parlare. Quest'anno, con la complicità di un fattorino, insieme
con un amico trovo posto all'ultimo momento in un autobus pieno di donne che
vanno al Santuario per assistere alla messa celebrata dal vescovo e alla
processione, i cui culminano ogni anno i festeggiamenti in onore delle Madonna.
Partiamo verso mezzanotte e il viaggio dura tutta la notte; dopo una corsa in
pianura comincia la salita faticosa per i pendii scoscesi dell'Aspromonte. Lungo
la strada incontriamo altri pellegrini. Le donne cantano in coro le lodi alla
Madonna interrompendosi solo per brevi momenti. All'alba arriviamo in
Aspromonte; l'autobus si ferma in una radura in mezzo a boschi di faggio e da
qui comincia il viaggio a piedi, dapprima in salita, poi in terreno pianeggiante
e alla fine in una lunghissima discesa, che dura più di cinque ore. Il mio
amico avanza a fatica sul sentiero sassoso. Ecco, alla fine del piano ci
affacciamo su una valle angusta e scoscesa che si spalanca ai nostri piedi come
un abisso, un salto di oltre 500 metri; di qua un pendio ripido con ciuffi di
erica e di pruno, di là un altro pendio altrettanto ripido e con radi alberi,
tagliato a metà da un'enorme frana, e laggiù in fondo, all'imbocco di un'altra
valle, divergente rispetto alla prima, il Santuario che di quassù si vede in
forma d'un lungo tetto alto sopra altri tetti più bassi. A sinistra, verso
oriente, si apre un'ampia vallata, nel cui fondo biancheggia il letto d'un
torrente arido e sassoso, e che all'orizzonte sembra sbarrata da una fila di
colli; dietro si scorge una striscia turchina che è il mar Ionio. E' un
paesaggio arido con una vegetazione rada e stenta eccetto qualche pendio a
settentrione coperto di bosco. La roccia, che forma l'ossatura dei monti,
nascosta sotto uno strato di terra, o affiorante in qualche punto, pare sia
stata frantumata da un'antica convulsione tellurica; le piogge invernali la
sgretolano, rovesciando nelle valli valanghe di terra e sassi. Per questi pendii
corrono sentieri serpeggianti, ricercanti come animali vivi i punti più agevoli
per la discesa. I pellegrini scendono in lunghe file come formiche, pazienti e
cauti, le donne con pesi sul capo, alcune coi bambini lattanti coricati in ceste
fatte con striscie di castagno intrecciate, gli uomini col fucile sulla spalla,
un bambino in collo, una chitarra, o altro strumento musicale; alcuni si tirano
dietro un asino, un mulo, o una capra. In quest'ultimo tratto di strada tutti
camminano in silenzio. Una sosta in fondo, sulla riva del fiume, per bagnare i
piedi indolenziti e mangiare un pezzo di pane e poi ancora su per un tratto di
salita dal lato opposto. Là cominciano gli accampamenti dei pellegrini, che
oggi sono più di diecimila, molti arrivati durante la notte, altri in attesa da
alcuni giorni, e non possono alloggiare nell'edificio annesso alla chiesa e nei
dormitori. Gli accampamenti si estendono dal pendio del monte fino al greto d'un
torrente che scorre nella valle del Santuario e oltre: sono tende e capanne di
frasche sotto grandi alberi di castagno e di quercia, con le bestie accanto; e
tutt'intorno è un brusio vasto e un rintronare di fucilate. I pellegrini hanno
passato la notte in preghiere, canti sacri e profani, suoni e balli, eppure
nessuno si sente stanco: su stretti spiazzi in mezzo a circoli di persone i
ballerini saltano e girano, agili, eccitati, battendo le mani ed emettendo
grida, pare che non sfiorino il terreno coi piedi.
Le strade vicino al Santuario sono ingombre di
mercanti che vendono ogni sorta di merce e nel loro linguaggio caratteristico
invogliano la gente a comprare; spacci di vino e di altri generi sono sistemati
sotto capanne di frasche; grossi pezzi di carne di capra illividiti nella
caldura e nella polvere pendono dai ganci. Negli angoli appartati le pentole di
carne bollono, spandendo intorno odore di grasso; si svuotano e si riempiono
continuamente. Dappertutto sono accesi fuochi tra due pietre; i pellegrini si
affrettano a preparare il desinare prima che cominci la processione. Una nuvola
di fumo e di polvere resta sospesa sopra i tetti delle case e sopra gli alberi.
Nel mezzo di un cortile, dove sono legati asini e muli sotto un sole feroce, un
uomo col vestito imbrattato di sterco e di sangue abbatte le capre, una dopo
l'altra, e le scuoia; le pelli vengono appese a corde tese da una casa
all'altra.
E la moltitudine dei pellegrini continua a
scendere come un fiume per la stradetta che conduce alla chiesa; entrano,
s'inginocchiano davanti alla statua della Madonna e pregano a lungo; poi si
alzano, toccano la statua con devozione, si appoggiano e strofinano indumenti,
specialmente i bambini, e oggetti di ornamento affinchè da quel contatto
ricevano benedizione e quasi un potere miracoloso e consegnano le loro offerte
che consistono in denaro, oggetti preziosi e bestie. I pellegrini, la maggior
parte, sono poveri e afflitti da mali noti e ignoti e vengono qui da paesi
lontani a deporre il peso delle sofferenze e degli affanni e a chiedere
protezione contro le forze che li opprimono, malattie, disgrazie, distruzioni di
raccolti, moria di bestiame, inimicizie e prepotenze, per poter domani, leggeri
e rinfrancati, ricominciare la vita. Conducono i figli e supplicano, anche per
quelli che le madri portano nel ventre, affinché le proprie sofferenze valgano
per preparare a loro una vita meno tribolata. Nella chiesa non noto particolari
pregi architettonici, od ornamentali; attira la mia attenzione in un angolo una
catasta di casse da morto, di cui un religioso mi spiega il significato: vengono
portate per voto da persone, che colpite da male inesorabile, abbandonate dai
medici, sono sfuggite alla morte come per miracolo. Donne curve, tendono per
mano i bambini, si trascinano sulle ginocchia fino all'altare e baciano i
gradini; altre, salite su un pulpito, da dove, allungando le mani, possono
toccare la statua della Madonna, restando a lungo in colloquio con essa; in un
canto un prete, seduto dietro un tavolo, riceve denaro dai pellegrini e
distribuisce figurine. I doni preziosi vengono consegnati al priore. Un
contadino è inginocchiato vicino a un confessionale e un prete di dentro alza
la mano e fa un segno di croce sul suo capo chino. Accanto alla chiesa, separata
da un corridoio, c'è una stalla piena di vitelli e di altri animali, dono dei
pellegrini. Centinaia di pellegrini sono alloggiati nelle sessanta camere
dell'edificio annesso alla chiesa e nei corridoi che danno su un cortile
interno, dove si ammucchiano lordure, rigovernatura e sterco di animali. In
quelle camere c'è qualche lettuccio e paglia sparsa per terra, dove dormono i
pellegrini che da maggio a ottobre vengono a visitare il santuario. In questo
edificio non ci sono impianti igienici. Tra i pellegrini ci sono malati e donne
incinte e ogni tanto si sparge la voce di qualcuno che si sente male, di una
donna svenuta. Persone ferite da pallini delle fucilate delle fucilate vengono
medicate con tintura di iodio e fasciate alla meglio.
A un tratto, una parola come un ordine passa
di bocca in bocca, e i pellegrini si agitano; chi mangia smette; la madre
che sta allattando il bambino, lo stacca dal seno; chi si trattiene in
discorsi, li interrompe; le bettole si svuotano; tutti si rassettano. Pare che
si attenda un avvenimento decisivo. Nella chiesa il vescovo sta celebrando la
messa e si sa che fra poco la statua della Madonna sarà portata in processione.
Pochi possono entrare in chiesa, o arrivare nelle strade adiacenti: la maggior
parte si dispongono in lunghe righe sul pendio del monte come sulla gradinata di
un anfiteatro. All'improvviso dalla moltitudine erompe un grido immenso che si
ripercuote lontano tra i monti, accompagnato da una scarica di fucili e pistole;
le fucilate rivolte verso l'alto colpiscono i castagni e le querce e nell'aria
è un turbinio di foglie che cadono come pioggia. La statua della Madonna
compare sulla porta della chiesa portata a spalla dagli uomini. Mille braccia si
tendono verso di lei; le donne la invocano piangendo, la pregano e le confidano
i propri affanni in un bisbiglio delirante, sollevando in alto i bambini
come per offrirglieli; alcune cadono in ginocchio e si battono con furia il
petto, gli occhi bassi, come se fossero indegne di guardarla. La statua gira
intorno alla chiesa per mostrarsi a quelli che stanno negli altri settori
dell'ampio anfiteatro; dovunque si ripete la stessa scena. La passione della
moltitudine esplode in grida altissime, invocazioni e pianti. Quando il giro è
finito, la statua sosta alcuni minuti davanti alla chiesa prima di scomparire,
riportata dentro di corsa. E' il momento del distacco, momento supremo. La
moltitudine si contorce e smania come in uno spasimo; le parole non hanno più
senso, nè i gesti rapporto con le parole, non si sa se le lacrime sono di
gioia, o di dolore, se si preghi, o s'imprechi, se le mani si alzino imploranti,
o minacciose; le preghiere, le invocazioni e le grida fanno una tempesta che
mugghia tra i monti come nelle giornate invernali.
Scomparsa la statua, il tumulto cessa. Poi i
pellegrini cominciano a partire, alcuni sostano un momento in chiesa prima
d'incamminarsi. Le donne, passando davanti alla chiesa, agitano i fazzoletti
come dalle banchine dei porti e delle stazioni per salutare una persona cara,
che non sanno se rivedranno mai più. « Addio! Addio! ». Il loro gesto ha la
tristezza di tutti i distacchi. In lunghe file i pellegrini risalgono lentamente
l'erte ripide nell'afa pomeridiana, avviandosi in diverse direzioni verso i
lontani paesi.
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