Al
grido: «Viva San Giorgio! Viva il nostro Protettore!»,
Salvatore Adornato dà il via, come ogni anno, alla processione
e all'inizio dei festeggiamenti in onore di S. Giorgio martire,
patrono del paese.
La
festa grande di san Giorgio può essere considerata per
antonomasia la festa degli emigranti maropatesi: per loro, negli
ultimi anni, è stata spostata dalla tradizionale prima domenica
di luglio alla prima domenica di agosto.
Più
radicata nella memoria rimane, però, la festa piccola del
Santo, quella del 23 aprile, perchè legata alle luminarie (focaredi),
approntate con cura dalle famiglie dei vari rioni. Fascine
di frasche vengono accatastate durante i giorni che precedono la
festa, e la sera del 23 aprile, all'ora stabilita, vengono
accesi i falò. Inizia una vera e propria gara a saltare tra le
fiamme che s'innalzano tra fumo e scintille. Ragazzi, giovani e
meno giovani, scavalcano il rogo, un tempo tra suoni di
mandolini, chitarre e ciaramelle, oggi accompagnati dal suono
meno melodico di tamburi, grancasse e piatti e dalla vorticosa
danza dei due tradizionali giganti di cartapesta, Mata e
Grifone.
Il
tutto sotto gli sguardi divertiti degli spettatori dei paesi
vicini, che non disdegnano l'offerta di un buon bicchiere di
vino delle rinomate vigne di Mòrvani e Pescano.
I
fuochi sono ciò che rimangono degli innumerevoli riti
propiziatori primaverili pagani. Questi rituali di purificazione
per mezzo del fuoco, sono caratteristici delle culture agrarie.
Come il sole con i raggi, così il fuoco con le fiamme è il
simbolo dell'azione fecondante, purificatrice e illuminatrice.
Il salto del fuoco, per i maropatesi, acquistava la funzione di
una vera e propria liturgia scaramantica, capace di allontanare
tutti gli influssi negativi: fatture, jettattura, picciu e
malocchio, sventure che inesorabili si abbattono non solo
sui raccolti e sulle attività economiche in genere, ma anche
sulla vita sentimentale e sulla salute.
Ecco
allora che la ragazza saltava per trovare un buon marito, la
madre di famiglia per vedere sistemati i propri figli, gli
uomini per conservare la forza e la salute. Tutto veniva offerto
a Santu San Giorgi, con la devozione semplice e pura di
chi sapeva chiedere col cuore sulle labbra e con le lacrime agli
occhi, di chi non si vergognava di esternare la propria fede e i
propri sentimenti coran populo, battendosi il petto, o
trascinadoci ai piedi dell'altare, ginocchioni, strisciando la
lingua sul pavimento.
Oggi
questo rito pacifico non è più una forma di preghiera, ma solo
un'occasione di incontrarsi e divertirsi, essendo l'antico
animus popolare ormai scomparso, seppellito da ideali di
effimere certezze e da un'imperante aridità morale.
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La
prima foto è del 1982, le altre sono del 1983.
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