Michele
Villone, pittore autodidatta, nasce a Maropati il 10 Gennaio
del 1935 da Carmela Iannizzi e Agostino Fiore Villone. Per
un certo periodo la sua famiglia vive in affitto presso i
genitori di Rosario Belcaro (poeta Maropatese). Da bambino,
per aiutare la famiglia Michele lavora come pastore. Un
giorno in aperta campagna, mentre fa pascolare le pecore,
trova un residuo bellico, credendo si tratti di una palla,
la avvicina per giocarci ma, uno scoppio improvviso e
violento gli provoca la perdita di un braccio e di metà dito
della mano destra. “Carmeluzza” mamma di Michele avvisata
dell’accaduto va a prendere il figlio riverso in un bagno di
sangue. La donna se pur sconvolta riesce a trovare un mezzo
per arrivare all’ospedale, qui i medici le dicono che non
c’è nulla da fare perché manca la penicillina. Carmeluzza
corre a chiedere aiuto al Sindaco del paese, l’unico che
avrebbe potuto procurargli un po’ di liquidità. Stremata e
con le lacrime agli occhi, Carmeluzza comprende che deve
essere lucida e che non può permettersi nemmeno un attimo di
pianto. Il Sindaco“Cordiano”concede a Carmeluzza un buon
prestito, e le dice che di qualunque cosa avrà bisogno in
futuro per la sua famiglia e per Michele potrà contare su di
lui. Dopo vari mesi di ospedale, Michele riesce a
ristabilirsi e a tornare a casa, resta però con un solo
braccio e quattro dita della mano destra. Primo di sette
figli, (sua madre aveva avuto ben quindici gravidanze),
Michele non può permettersi di essere debole, deve aiutare
la sua famiglia. Avere un solo braccio diventa uno sprono
per fare vedere che lui è uguale gli altri, anzi più degli
altri. Ben presto la vita gli sorride, s’innamora, si sposa
con Giuseppina (detta Pina), ha quattro figli:Carmelina,
Agostino (come suo padre) Mario e Ivana. La sua vita è piena
di passioni, compra un pezzo di terra, vede germogliare le
sue piante, si lascia ammaliare dal colore del cielo in
aperta campagna; accanto a lui la terra è rigogliosa, c’è
abbondanza d’acqua, si circonda di animali (soprattutto cani
e uccelli), è sereno, finalmente felice. Costruisce una
voliera per i suoi amici volatili, “qualcuno racconta che al
suo passaggio e all’ascolto del suo fischio tutti gli
uccelli iniziassero a cantare”. Michele ama la natura e la
natura ama lui, come in una sorta di rispetto reciproco, un
dare per avere: basti pensare che nella sua casa, e nella
sua campagna ci sia sempre stato un amico a quattro zampe e
alcune volte anche più di uno. Per lui ogni cosa fa parte
della famiglia, come in una ricerca continua e affannosa di
amore verso tutto ciò che lo circonda. Per un certo periodo
si dedica al modellismo di piccoli aeri che lui stesso
costruisce. Ha un solo braccio è vero, all’altra mano gli
rimangono quattro dita ma nulla lo ferma, niente lo
trattiene. Le sue passioni lo aiutano a non pensare e a non
sentirsi diverso dagli altri. Lavora per molti anni nella
scuola di Maropati e in questa stessa scuola è accolto con
successo quando presenta la sua prima mostra di quadri.
Michele è un fiume in piena, lo interessa l’arte, il
restauro dei mobili antichi (passione che condivide con il
terzogenito Mario). Negli ultimi anni della sua breve vita,
aiutato solo dal suo talento e dalla sua voglia di fare,
inizia a dipingere, ispirandosi ai colori della sua terra e
all’amore verso il suo paese. Dopo avere sperimentato varie
tecniche di disegno e sull’uso del colore, si lascia
ammaliare dagli scorci antichi e fiabeschi di Maropati. Ben
presto prende l’abitudine di portare con sé, nelle sue
passeggiate, la macchina fotografica, impara a cogliere
l’attimo che lo emoziona e che lo fa tornare indietro con la
memoria al suo passato, a quando era bambino, ai tempi del
dopoguerra, quando quelle case diroccate erano ancora in
piedi. I luoghi della sua infanzia diventano luoghi da amare
e riprodurre sulla tela. Alcune sue tele sono specchi di
vita, altre sono quadri dentro ad altri quadri. Oltre ai
paesaggi, il suo cammino pittorico è segnato dall’amore per
le forme femminili, i suoi nudi semplici e raffinati, non
sono mai volgari, ma sono un inno alla donna del presente e
del futuro. In alcune sue tele la figura femminile è come
sospesa tra aria e terra, emergendo dal buio che la
circonda. Raffinati e spettacolari sono i colori usati dal
Villone che, in pochissimo tempo acquisisce il dono di
vivificare i luoghi sulla tela, impressionando lo
spettatore. Il cielo, la terra, le case, i fiori, il verde
dei prati, tutto sembra reale, come in una foto o come in un
paesaggio ammirato in un momento di serenità. Usa
soprattutto i colori ad olio. Un colore che diviene reale,
quasi palpabile, in tutti i suoi soggetti, colori mescolati
in modo tale da sembrare presi dalla terra e non costruiti
artificialmente. In una delle sue mostre incantò gli
spettatori con la magia impressa nelle sue opere. Negli anni
che precedono la sua morte, Michele Villone, passa molte
giornate nella soffitta della sua casa, luogo che ha adibito
a laboratorio artistico: dalle sue finestre scorge il mutare
delle stagioni, il verde delle colline e degli alberi
secolari che lo circondano. Tutto il suo mondo lo ritroviamo
impresso nelle sue tele, in un paesaggio immortalato e ormai
eterno. Dipinge immerso nella luce, scordando completamente
di avere una sola mano. Forse è stata questa la sua
grandezza, non si è mai scoraggiato, ha raggiunto con
successo mete che molte persone comuni non potranno mai
raggiungere. L’arte, il dono della pittura, vive in lui, e
nella sua grande modestia trova gratificazione. Michele da
subito, inizia a vendere i suoi dipinti, molti se ne
innamorano al primo sguardo, guadagna, e ciò che ricava lo
investe per nuove tele, pennelli, colori. Uomo di
un’intelligenza estrema e un’elevata sensibilità, decide di
immortalare gli scorci più belli di Maropati rendendo eterni
i posti che l’hanno visto crescere e maturare. Nella sua
breve vita realizza molti dipinti, alcuni si trovano presso
collezioni private, altri sono rimasti ai figli e alla
moglie, mentre alcuni quadri sono stati portati in Canada
dall’amata sorella Antonietta. Poche sono state le sue
mostre personali, ma sempre con un grande successo di
pubblico. Il 16 Febbraio del 1999, tutta Maropati e la
famiglia, piange il più grande pittore del paese. Michele
Villone si spegne a Bologna, in un freddo ospedale, lontano
dalla sua amata terra, in un estremo tentativo di salvarsi
dai problemi al cuore che lo avevano colpito. L’arte è
immortale, questo è noto a tutti e come artista e grande
maestro del colore e della luce, le opere del Villone
resteranno sempre a ricordare quale grande uomo sia stato.
Le opere di un pittore, come quelle di un poeta o di uno
scrittore, continueranno a vivere in chi si lascerà
emozionare da esse. Opere senza tempo che troveranno sempre
un posto e un momento per essere ammirate da generazione in
generazione. Oltre la morte, l’arte rende vivi e immortali
tutti i suoi eletti. I suoi dipinti, la forza prorompente
dei suoi colori, le sue tele dalle dimensioni più varie, non
avranno mai un posto nell’oscurità ma sempre e per sempre
nella luce, dove continueranno a parlarci di un grande uomo,
un grande e inimitabile amante della natura più bella,
quella della sua terra.